martedì, luglio 24, 2012

Sulla base dei criteri di riordino delle Province, riflessione, attraverso un tuffo nella storia, con lo scrittore imperiese Maurizio Donte

Oggi voglio parlarvi di Giulio Valerio Maggioriano, l'ultimo imperatore di Roma che cercò in tutti i modi di salvare l'Occidente e di recuperare le province perdute. Su Wikipedia c'è un suo breve ritratto, che cito integralmente:
“Comandante militare di un certo successo, salì al trono dopo aver deposto l'imperatore Avito e regnò dal 457 al 461. Il suo regno fu caratterizzato da una politica estera volta a restaurare il dominio
romano sulle province perdute- in particolare Gallia, Hispania (e sono proprio
americani...Iberia, sarebbe meglio dire) e Africa- e da una politica interna avente lo scopo di risollevare le finanze imperiali, garantendo al contempo giustizia ed equità. Il suo tentativo venne frustrato dai tradimenti: di alcuni suoi soldati, che causarono la perdita della flotta necessaria per strappare l'Africa ai Vandali, e del suo
generale Ricimero, che lo catturò e lo uccise. Fu l'ultimo imperatore capace di risollevare le sorti dell'Impero Romano d'Occidente con le proprie risorse: gli imperatori che gli succedettero fino alla caduta dell'Impero nel 476/480 non ebbero potere effettivo, ma furono strumenti di potere di generali di origine barbarica o imposti e appoggiati da Costantinopoli”. Ecco, occorre riflettere sulla vicenda umana di questo galantuomo, sconosciuto ai più. Quello che stiamo vivendo oggi è infatti abbastanza simile al tempo in cui ci fu il crollo dell'Impero d'Occidente e temo sia tardi per trovare misure che servano a mantenere intatto il nostro “sistema”, almeno, così come lo conosciamo. I governanti si ostinano a puntellarlo con comportamenti stereotipati, buoni forse fino a ieri, ma assolutamente inadeguati ad oggi. Non è un caso, sono vecchi e pensano da vecchi.
Ma non è tutta colpa loro; purtroppo quando una situazione arriva al punto di non ritorno, non c'è più niente da fare: la crisi economica con cui stiamo facendo i conti sembrerebbe quasi una moderna versione della battaglia di Adrianopoli, dove l'Impero venne sconfitto dai Visigoti. L'ecatombe fu tale che il mondo romano non si riebbe più e la divisione tra i due imperi divenne definitiva. Avendo per decenni perseguito politiche suicide: quali l'alzare continuamente l pressione fiscale, senza concentrare gli sforzi sullo sviluppo, su di una efficace lotta all'evasione fiscale e sulla diminuzione della disoccupazione giovanile, siamo arrivati a quella che, temo, sarà la fine dell'Occidente come lo abbiamo vissuto finora. A questo punto potrebbe salire al potere il migliore degli uomini, animato dalle più alte e nobili intenzioni, ma non riuscirebbe ugualmente a salvare la nave europea, ormai destinata all'affondamento. La storia in questi casi progredisce per schemi nuovi e del tutto imprevedibili e i parametri e gli schemi conosciuti saltano. Semplicemente, se ne elaborano di nuovi, ma per farlo occorrono parecchi anni, se non secoli.
Il lungo processo della crisi europea è iniziato, paradossalmente, nel 1980, quando pareva che il mondo Occidentale e la Nato fossero usciti vincitori dal lungo confronto definito “ guerra fredda.” Negli ultimi trent'anni l'occidente ha vissuto scosse epocali, dalle quali è uscito profondamente mutato, senza rendersene compiutamente conto. I politici hanno capito meno di altri: al crollo del Muro di Berlino e quindi del comunismo, hanno pensato di poter fagocitare e piegare quelle popolazioni al credo capitalistico occidentale.
Sbagliato.
Quel crollo portò, come prima conseguenza, anche e soprattutto ad una invasione dei nostri Paesi, pacifica se si vuole, ma “barbarica” nei contenuti, perché portatrice ci concetti “alieni” per la nostra cultura, da parte di popoli con una visuale del mondo totalmente diversa e spesso non integrabile. Beninteso, dico barbarica nel senso appunto di diversa dalla nostra, non che per questo sia da considerare meno “civile”. Bisognerebbe però intendersi anche sulla relatività del concetto espresso da questo termine: quello che è civile per noi, spesso non lo è per gli altri e viceversa. Quella multi etnicità e diversità culturale, che la sinistra demagogicamente esaltava, dal punto di vista maggiormente “smagato” e realistico di uno storico, è foriera di attriti, se non di futuri conflitti. Da che mondo è mondo, mai, gruppi umani portatori di chiamiamoli “valori”
differenti, sono riusciti a convivere pacificamente. Il sogno della sinistra, per quanto bello e condivisibile, non può che rimanere, appunto, un sogno. Homo, homini lupus. Ogni uomo è lupo, per gli altri uomini. L'aver voluto ostinatamente negare nella estensione della Costituzione Europea le radici cristiane, in nome della “laicità” dello Stato, ci espone con il fianco scoperto all'aggressione, neanche tanto nascosta, di una società che “laica” non è per nulla: quella musulmana.
(Ma noi non possiamo non dirci Cristiani!)
Faccio alcuni esempi, onde chiarire meglio il mio pensiero.
Per i Talebani dell'Afghanistan è atto civilissimo (anzi atto dovuto) distruggere le statue della religione Buddista (in quanto l'Islam non tollera raffigurazioni personificate della divinità, concepita come puro spirito) mentre ai nostri occhi esso appare un atto di inqualificabile barbarie. La nostra cecità e mancanza di prospettiva storica, ci ha portato inoltre a impegnarci in costosissime (in termini di soldi e di vite umane sprecate) e temo inutili, missioni di pace all'estero. Non si capisce poi se questo “slancio umanitario” sia dettato da vero spirito altruista e quindi “cristiano” o piuttosto, come espressione di una volontà di accaparrarsi le ricchezze naturali di quei luoghi. Nell'uno e nell'altro caso, le missioni vengono viste dagli islamici, ugualmente come “crociate” e come il risorgere del colonialismo. Può essere vera la seconda, ma la prima? E' ridicolo.
Crociate? Ma se i nostri governanti, anche se si dicono cristiani, vivono come se non lo fossero.
Ma ciò non è nemmeno pensabile per il musulmano medio, la cui vita è “intrisa” di religione e pertanto essi reagiscono nel modo che abbiamo ben visto dall'undici settembre 2001 in poi. La vita fianco a fianco di popoli di religione differente, non ha mai portato niente di buono (soprattutto ai Cristiani). Se non ci credete, fate come me, un giro turistico a Mostar e respirate l'aria della “pace” imposta dall'Occidente nell'ex-Jugoslavia. E' un'aria pesante come l'Uranio impoverito: cristiani e musulmani si guardano in cagnesco, accarezzando i grilletti dei mitra (perfino i campanili delle chiese assomigliano a missili atomici), mentre noi pensiamo (poveri illusi) di aver risolto tutto, distribuendo un po' di bombe sulle loro dure cervici. I Balcani esploderanno ancora, statene certi. Pochi di voi sanno, immagino, che i “musulmani” bosniaci altro non sono che i discendenti di una setta cristiana eretica di ispirazione Catara, in passato perseguitata dalla Chiesa. I Bogomili, così si chiamavano, al momento dell'invasione Ottomana, in spregio ai loro confratelli persecutori, cristiani cattolici ed ortodossi, si convertirono in massa
all'Islam, prendendosi ferocemente le loro rivincite. Il solco d'odio scavato da secoli di atrocità commesse dall'una e dall'altra parte, è tanto profondo e radicato, che non so se mai potrà essere estinto. L'Europa pare ignara di questo super vulcano su cui è seduta e, non paga, ha creato presupposti perché le stesse cose possano avvenire anche in tutti gli stati che la compongono, favorendo o solo rassegnandosi alla migrazione islamica e di fatto, in tal modo, “balcanizzandosi.” I Musulmani fanno poi confusione, non so se volutamente o perché ci credon davvero, tra il Jhiad e la Jhiad, il primo è la guerra che il “vero credente” deve fare a se stesso per seguire gli insegnamenti del profeta (verità secondo il Corano), l'altra è la guerra “santa” che si fa contro gli “infedeli” per convertirli (principio non altrettanto chiaro teologicamente). Invito tutti a meditare sul principio assolutamente illiberale e coercitivo della conversione forzata, unitamente alla sudditanza imposta alle donne e valutare se tali concetti sono “compatibili” con la nostra civiltà e con la nostra Costituzione. Questo secondo punto, nasconde e neanche troppo bene, la realtà: si tratta di una vocazione che, prima o poi, sentono tutti i popoli: quella imperialista, cioè la volontà di dominio su chi è diverso da noi. Perdonatemi la digressione, ho rischiato di andare fuori tema, ma la situazione europea è molto più complessa di come appare a prima vista. L'altro errore clamoroso è stata l'imposizione della moneta unica, laddove essa non è
stata preceduta da una chiara volontà di unione politica. “L'esperimento euro” ha in sé, qualcosa di bizzarro, se analizzato dal punto di vista dello storico. Una cosa così non ha precedenti, se poi si tiene conto che per le resistenze della Germania, in primis, non si è potuto mettere a punto delle autentiche strategie economiche comuni, né avere una Banca Centrale Europea davvero in grado di fare quello che una banca centrale vera, come è la Federal Reserve americana, può e deve fare, ecco che il piatto avvelenato è servito. Non finisce qui, c'è un altro “peccato originale” nel progetto euro: il non aver tenuto conto delle reali condizioni dell'economia di paesi aggregati in fretta e furia, dopo il crollo del Muro. Un altro esempio di imperialismo fortemente miope. Una “volontà di potenza” proiettata verso l'Est (l'impero ex-russo, mascherato da unione delle repubbliche socialiste sovietiche), apparentemente pacifica, ma i realtà foriera di conseguenze mica tanto piacevoli. Vero, la Russia, in un primo tempo ne uscì fortemente indebolita e fu costretta a subire la perdita della sua zona di influenza, ma negli ultimi anni si è rifatta con gli
interessi: le forniture di gas dai giacimenti siberiani, vitali quanto il petrolio, per l'occidente, le consentono di tenerci “ per le palle” (e di riceverci a Mosca con tutti gli onori e un sorrisetto divertito sotto i baffi, quando i nostri “capi” staccano gli assegni per pagare il conto). Ricordo quanto fu cauto l'avvicinamento alla cosiddetta “unione europea”: prima il mercato comune, la CEE, il serpente monetario (SME)...tanti passettini piccoli piccoli, poi, dopo il 1980, la frenesia, la fretta, mai buona consigliera. Si perse di vista tutto, davanti alla possibilità della riunificazione della Germania, dell'apertura dei mercati dell'est; tutto sembrò possibile e qui iniziò la catastrofe. Si fece l'unione monetaria, senza badare troppo alle reali condizioni economiche di nazioni come la nostra, la Spagna, il Portogallo, l'Irlanda e la Grecia. La Germania non volle, per calcoli suoi, una reale politica economica unitaria e si accelerò, oltre il limite del buon senso, la cooptazione di stati emersi dalla frantumazione dell'impero sovietico.
Insomma, si costruì la casa partendo dal tetto, anziché dalle fondamenta. Venne poi la crisi, partita dagli Usa e dalle banche gonfie di titoli “tossici” propalati ai clienti come buoni investimenti (con l'avvallo di quelle buone lane di Moody's, Standard and Poors e compagnia), quando in realtà si trattava di autentiche truffe. La banca centrale americana intervenne per salvare il salvabile, acquistando e “garantendo” in tal modo quella carta straccia. Cominciò però a dismettere (vendere) gli analoghi titoli europei in quantità tale da risultare insostenibile per qualunque economia ed ecco che la crisi ha aggredito l'Europa, con le conseguenze che stiamo pagando con la terza manovra “più sangue che lacrime” nel giro di pochi mesi.
La rigidità teutonica ha impedito di prestare soccorso alle economie dei paesi europei in difficoltà, (mentre gli Usa assorbivano con relativa tranquillità la bancarotta di alcuni loro stati, ricorrendo anche alla stampa di nuovo contante, laddove ciò si rendesse necessario) di fatto contribuendo ad acuire ancor di più la crisi, scaricandola però sulle spalle altrui.
Le conseguenze di tanti errori e leggerezze sono sotto gli occhi di tutti. La Grecia è sull'orlo di una rivoluzione, l'Italia forse no, perché la gente in fondo è mite (e c'è la partita in televisione), ma i segnali di malessere e di profonda indignazione verso i politici e le loro malefatte, ci sono e si colgono con facilità (la misura è quasi colma e non mi stupirei se, prima o poi, qualcuno si “incazzasse” per davvero). E i politici intanto stanno ballando in attesa delle elezioni, (sulla luna forse) la solita tarantella ridicola di frasi trite e ritrite (dobbiamo fare le riforme, secessione della Padania e altre idiozie consimili) che il cittadino, immerso fino alle orecchie nei guai veri (far quadrare il bilancio familiare, con sempre meno soldi in tasca), non ascolta più, o lo fa, considerandola aria fritta e facendosi venire un fegato grosso così.
Non vedo però, giunti a questo punto, come la bancarotta (certa) della Grecia e quella (molto probabile) dell'Italia, possa giovare alla nazione della signora Merkel. Greci e Italiani erano e sono importatori di prodotti made in Germany, se le loro economie vanno a rotoli, non è che quella tedesca ne possa trarre gran giovamento, a lume di naso.
L'euro andrebbe a “catafottersi in uno spalanco” come direbbe Montalbano e con lui tutta l'economia europea. L'asta dei buoni del tesoro tedeschi è andata male, con un invenduto del 40% che (orrore: cosa vietatissima è!) la banca centrale tedesca ha acquistato! L'avesse fatta la Banca d'Italia una cosa così, ci avrebbero crocifissi tutti sulla via Appia!
Non sono un economista, l'ho già detto e ribadito, ma la situazione è tale che, forse, sarebbe meglio toglierla dalle mani degli economisti (e dei politici): fanno solo danni. Tale è la situazione e, quel che è peggio, non si vedono persone della levatura di Maggioriano, all'orizzonte!
Cari miei, la vedo buia!
Un saluto.

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