martedì, luglio 17, 2012

FESTIVAL DI BORGIO VEREZZI: LELLO ARENA E' CAPITAN FRACASSA


Lello Arena è l’interprete di “Capitan Fracassa”, lo spettacolo tratto da Théophile Gautier e dai canovacci di Francesco Andreini che andrà in scena in prima nazionale, per la regia di Claudio Di Palma, giovedì 19 luglio al Festival Teatrale di Borgio Verezzi (ore 21,30, repliche venerdì 20 e sabato 21).
Insieme a Lello Arena, che vestirà i panni del protagonista, il barone di Sigognac-Capitan Fracassa uscito dalla penna di Gautier, reciteranno Fabrizio Vona, Francesco Di Trio, Giovanna Mangiù e Barbara Giordano, oltre ad un gruppo di altri otto attori e musicisti.
“Cosa spinga un attore a scegliere un testo fra migliaia è uno dei misteri più oscuri ed intricati nel quale mi sia mai imbattuto. – dice Lello Arena - Alcuni miei colleghi si lasciano guidare da una loro personale “urgenza” del momento, un’inderogabile necessità che li spinge, li obbliga, li costringe a vestire i panni di quel personaggio e di nessun altro.
A me invece piace piuttosto che gli spettacoli si facciano perché ce n’è bisogno. Preferisco che quella indispensabile “necessità“ sia in qualche modo espressa dalla gente, dal pubblico che, oggi come allora, è uno degli ingredienti primari di quel rito che si chiama Teatro.
E allora me ne sto, con le antenne ritte ed il naso al vento, ad annusare l’aria in attesa che arrivi un consiglio, un suggerimento che faccia da miccia, da fonte di ispirazione per quel lungo e complicato viaggio che inizia solo quando la scintilla scocca in quella maniera così magica, unica ed inattesa.
Portare in scena Capitan Fracassa mi è sembrata un’idea potente subito. Ha resistito alle mie personali riserve di indossare panni straordinari ma forse fin troppo prevedibili per me di soldati spacconi e Falstaff vari.
Con la stessa energia ha evidenziato subito alcuni dei temi con i quali credo avremo a che fare per un bel po’ del tempo che ci aspetta e nel quale andrà in scena Capitan Fracassa con la sua “necessaria “ funzione sociale.
La prima questione è che occorre recuperare un valore epico ed etico delle nostre giornate.
Abituati a pensare e convinti ad arte che il nostro agire sia ormai inutile perché troppo grande la dimensione della nostra esistenza , indeformabile dalle nostre piccole azioni quotidiane, troppo spesso rinunciamo a vivere e ad occuparci della nostra vita e di quella delle persone che amiamo.
Raccontare a tutti come solo l’arte, o comunque anche l’arte, la musica, il teatro, la pittura sia un elemento indispensabile per aiutarci a recuperare quella passione, quella energia vitale, quel senso naturale delle cose, quella unicità preziosa del nostro passaggio in questo mondo, è missione imprescindibile per questo momento.
Capitan Fracassa ben sa nella sua epopea romantica quanto sia necessario, se non addirittura obbligatorio, rinunciare alla tentazione di tirare i remi in barca, di anestetizzarsi ad ogni sentimento ed emozione, di seppellirsi ancor prima della propria morte, di rendersi indisponibile per quella passione, origine prima addirittura della propria stessa nascita.
Altra suggestione, altro spunto, altra illuminazione.
L’obbligo “sociale” di dover essere per sé e per gli altri affidabili. Affidabili e coerenti. Affidabili e sinceri. Affidabili e sicuri.
Quando ci penso mi viene sempre in mente un proverbio classico riscritto dal grande Rodari: Non c’è peggior sordo di quello che finge di sentire!
E’ sempre più semplice, in un momento nel quale le risorse individuali sembrano bastare a malapena per se stessi, mettersi al riparo dalle richieste altrui, evitando i fastidi e le ripercussioni proprie del dire no, usando la facile alternativa di un sì senza valore.
Anche perché, data la difficoltà del momento, le giustificazioni, le scappatoie, le scuse, gli appigli e i cavilli assolvono con facilità chiunque da ogni parola data e da ogni impegno preso.
Non vi posso raccontare troppe cose. Un prestigiatore non dice mai che trucco sta per fare. Così se sbaglia nessuno se ne accorge.
Ma un Capitan Fracassa che muore davvero, dopo un duello fatto con delle spade finte, proprio per dare senso a un grande amore è una straordinaria metafora sul tipo di persone che ci farebbero molto comodo di questi tempi”.

CAPITAN FRACASSA
Nella Francia del XVII secolo un nobile squattrinato, il barone di Sigognac, si aggrega ad una compagnia di commedianti che ha smarrito la strada e bussa alla porta del suo castello chiedendo ospitalità. Durante il cammino uno dei commedianti muore e Sigognac accetta di prenderne il posto con il nome di Capitan Fracassa. Il viaggio si svolge fra la Guascogna e Parigi, fra duelli, agguati, illusioni e amori.

La Malin-Comica esistenza del barone di Sigognac
Le prime trenta pagine del libro, non poche, rapiscono il gusto descrittivo di Gautier “costringendolo” a soffermarsi con tratto scrupoloso e spietato sulla solitudine che immiserisce l'umore del Barone di Sigognac.
Poi, però, la proposizione di un’opportunità salvifica. Un'occasione che si annuncia con tre colpi violenti battuti alle porte del castello baronale e dietro i colpi il volto burlesco di un commediante di provincia e, a seguirlo, ancora altri attori di strada in cerca di una dimora momentanea.
Il teatro si propone, provvidenziale e casuale, a Sigognac per riconvertire il suo silenzio indolente in azione e gli sottopone una grammatica di segni comici che ne risvegliano gli umori insani riconcedendogli una vita, riassegnandogli un’identità: Capitan Fracassa.
Al nostro Fracassa, ormai maturo, il teatro si presenta con la forza seduttiva di un’adolescente inconsciamente adescatrice. Nel gioco teatrale dei contrari, si finge in scena spavaldo di parola e codardo d'azione contrappuntando la sua reale natura. Vive con pienezza un'epopea vitalissima e smodata da Illusion comique sino al sopraggiungere dell'indifferibile epilogo.
E per la chiusura del sipario, per il ritiro dalle scene cosa scegliere? Assecondare il finale favolistico edulcorato e pacificante suggerito/imposto a Gautier da familiari ed editore oppure seguire la prima intuizione dell'autore che riduceva Sigognac “ ... seduto sull'orlo di un sepolcro ad attendere che la morte venisse col suo dito ossuto a spingerlo nella buia cavità” ? La seconda ipotesi, certo, oltre ad evidenziare la naturale destinazione al silenzio cui il teatro induce al momento della fine, suggerisce, anche, con forza un rimando suggestivo alla modalità con la quale Sigognac aveva scelto in partenza di seguire gli attori: spinto, quasi inerme, dalla passione (morte) nella nuda scatola teatrale (buia cavità). Quello della “... pietra verdastra e sgretolata della tomba”, dunque, sembrerebbe lo sfondo ideale dello scenario conclusivo, ma...”

Nessun commento: