
Precisiamo subito che per difendere la nostra produzione locale respingere i Tir di olio spagnolo (nella migliore delle ipotesi, perché spesso è nordafricano) sarebbe, per fare un esempio, come respingere le automobili estere per vendere in Italia solo le Fiat: semplicemente inattuabile ed anacronistico. Come pure ricordare nostalgicamente cosa si pagava un tempo con una misura di olive.
Oggi, a fronte di un prodotto di standard senz’altro elevato (olio ed olive taggiasche coltivate in Riviera e riconosciute da una ampia e qualificata cerchia di consumatori), ma con un prezzo elevato (il triplo di altri buoni oli italiani ed il quadruplo di alcuni buoni oli spagnoli) che alimenta tentativi (spesso riusciti) di contraffazione, non basta dire al consumatore (che come abbiamo detto paga anche una bella cifra) che l’olio che acquista è di Imperia, o è taggiasco o è del “nostro”: glielo dirà chiunque, anche colui che lo sta “fregando” e magari glielo dirà meglio di noi, con parole, gesti e anche documenti, analisi, fatture. Oppure gli lascerà credere, senza commettere illecito alcuno, che l’olio acquistato è locale perché la sede dell’azienda è nella nostra Regione.
A questo stato di cose il Consorzio per la DOP ha provato, pur con false partenze e con alcuni passaggi sulle caratterizzazioni chimiche ed organolettiche del prodotto che sono tuttora da affinare, a dare una unità di misura nel riconoscimento del prodotto locale. Prima della DOP, per alcuni l’unità di misura era di 90 centimetri e per altri di 105, senza peraltro poter far valere in un Tribunale alcuna denuncia di frode. Ora, invece, ciò è possibile, soprattutto con l’inizio dell’attività di controllo degli agenti vigilatori che lavorano a stretto contatto con i laboratori della Dogana e con la Repressione Frodi.
Al Consorzio per la DOP va attribuito il merito, insieme alle associazioni di categoria, di aver proposto il Patto di Filiera (che pur essendo contestato anche da molti produttori non fa altro che fissare un prezzo minimo), ma l’applicazione del Patto, oggi, non riesce a tutelare più del 10-15% della produzione (in generale rappresentata dalle olive abbacchiate) lasciando fuori tutte le olive destinate alla “salamoia” e le olive per l’extravergine indifferenziato o il cosiddetto “taggiasco”. Questo è uno dei nodi da affrontare per riuscire a mettere “sotto l’ombrello”, a tutelare, almeno il 60-70% della produzione, lasciando il restante al mercato indifferenziato e perciò non tutelato da alcun accordo economico (ricordiamo che non potrà mai esistere un prezzo fissato per Legge).
Non parliamo poi delle olive di rete che spesso non sono più neanche lavorate nella nostra provincia e per il cui prezzo (visto che quasi sempre si ottiene del lampante) si ha il raffronto col lampante internazionale.
A questo punto, però, nessuno può pensare di lasciare il settore tra altalene di produzioni e di prezzi senza cercare di intervenire: né le Associazioni di Categoria (agricole e non) né tantomeno gli Enti Territoriali (Comuni, Comunità Montane, Provincia e Regione) e quelli Economici (Camere di Commercio e Ministero). Occorre intervenire (ma partire davvero con progetti fattibili ed in cui si creda) per dare acqua agli oliveti, visto che l’altro fattore che influisce sulla produzione, ovvero potatura/concimazione è già stato affrontato e reso disponibile a tutti dall’Alo e dalla Cia con incontri sul territorio (il 29 appuntamento in oliveto a Chiusavecchia per la potatura).
Dal punto di vista commerciale, invece, la strada è stata tracciata dal Comune di Taggia che ha cominciato a dedicare una piccola parte del suo bilancio alla proposta e somministrazione delle olive taggiasche in salamoia presso tutti gli esercizi pubblici (bar e ristoranti) posti sul suo territorio.
Questa iniziativa è da ampliare applicandola in tutta la Provincia con l’aggiunta delle mense scolastiche dove i nostri figli consumano quasi metà dei loro pasti allargando ovviamente il discorso all’olio certificato. Ma va allargata anche a tutto il settore turistico-ricettivo che deve decidere di utilizzare olio e prodotti locali certificati. Come immaginare un coniglio alla ligure cucinato con olive e olio provenienti da chissà dove?
Solo così otterremmo una sinergia tra agricoltura e turismo che ormai in Italia vale qualche miliardo di Euro per i due settori (pensiamo alle Langhe, ma anche la Toscana e l’Umbria sono fortemente caratterizzate dall’offerta turistica agro-eno-gastronomica).
Si è perso molto tempo negli ultimi 15 anni e, dopo alcune grida di allarme, tutto è ritornato immobile nella nostra provincia: è ora di trarre spunto dagli errori commessi (perché così dev’essere se siamo qui a sperare che non si ripeta una buona annata olivicola il prossimo anno) e comunque creare presupposti perché i progetti si realizzino e soprattutto capire che le iniziative promozionali in qualsiasi campo, ma quello agricolo in particolare, hanno una qualche possibilità di influire solo se le magre risorse vengono concentrate ed ogni singolo Ente erogatore rinuncia a un briciolo di visibilità per un fine, un bene comune. Allora già un grande passo sarà fatto.
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