sabato, febbraio 14, 2009

"Dio ha creato il giardino, Caino la prima città". La sfida politica : "la città come un giardino"


Se "Dio ha creato il giardino, Caino la prima città", ed è da allora che si legge l'urbano come un confine.C'è sempre un solco per tracciare il "limes"della fondazione della città, si definisce sempre chi sta dentro e chi sta fuori, si crea il format dell'urbano e la dimensione dell'illegale.Questa funzione geometrica della città è naturalmente un'illusione ma che "sta dentro le teste", come un giorno mi disse il sindaco leghista di Soave, guardando le mura della sua città e volendo sottolineare l'identità e l'appartenenza locale.Infatti contemplando le mura della sua cittadina, disse con enfasi e trasporto:"Ma io quelle mura lì, ce l'ho dentro".In realtà questa voglia di "confini" e questo desiderio di "geometrica appartenenza", non è mai riuscito ad esaurire completamente la presenza della natura nella città, non è mai riuscito a cancellare totalmente il vegetale dalla città.Certo le città oggi sono qualificate dall'asfalto che distingue la zona "urbana"dalla terra, dalla campagna, ma tale pellicola di petrolio che ha invaso ogni spazio non ha conquistato totalmente la città, esistono dei bordi, dei residui, degli avanzi che sono sfuggiti alla totale devastazione "asfaltatrice", simbolo di progresso e di modernità. Si parte da un "bordo di strada, un residuo urbano..(che) non sono oggetto di alcuna protezione. …( che sono) luoghi che si tenta di ridurre o di sopprimere. Eppure tutti costituiscono riserve biologiche"(Clement, 2005, pg.. 25).Come dice Gilles Clement gli spazi residuali, i "bordi" sono i luoghi da dove può emergere "l'evoluzione territoriale del Terzo paesaggio"(Clement, 2005, pg.37), evoluzione che porta a"un'organizzazione per maglie, membrana urbana"(Clement, 2005,pg.37). Questa dimensione del"frammento vegetale"che attraversa e resiste all'urbano diventa il paradigma del nostro viaggio attorno alla città insieme alle presenze e manifestazione del vegetale in questa chiusa macchina dell'urbano, travolta dall'asfalto e dal dio automobile.Da quando si sono mossi sia l'homo habilis che l'australopiteco che poi il sapiens, dal loro antico luogo di origine, l'Africa, hanno attraversato il mondo a piedi."Un sacco sulle spalle e in viaggio nella savana", così mi rispondeva il mio amico Chabi del Benin, quando gli chiedevo della città quale preferisse. "Un sacco e andare, camminare nella savana", ripeteva con dolce determinazione.Camminare a piedi nella savana, non l'urbano ed i suoi asfalti, questo la cosa che preferiva il mio amico Chabi, aprendo così la riflessione sulla non naturalita della città, sulla non obbligatorietà della città come "luogo"unico per il sapiens.Facendo 60 km. per generazione, la nostra Lucy dall'Africa, a piedi ha fatto 30 000 km. in 10 000 anni, arrivando a coprire tutto il globo terrestre ed anche l'America e 50 000 anni fa anche in Australia.Il camminatore della savana oggi come il nostro progenitore non segna confini, ma attraversa, viaggia, incontra villaggi, ma tutto è collocato, avvolto nella natura.Solo la città apre la ferita della geometria e del confine, porta nello spazio ecumenico il segno dell'artifizio e della misura geometrica come comando sulla natura.Ma la natura riesce dentro e fuori la città a rileggere la propria proteiforme capacità di adattamento, trovando lo (gli) spazio per esprimere la propria potenza, per veicolare " un giardino in movimento" (Clement, 2005,pg.69).Il "giardino in movimento" diventa dunque il paradigma per leggere e progettare il nuovo "contesto urbano" come "Terzo paesaggio", che "coincide solo a titolo provvisorio con le divisioni amministrative. Si colloca nel campo etico del cittadino planetario a titolo permanente"(Clement, 2005, pg.25).Si coniuga la progettazione del "Terzo paesaggio" come nuovo strumento locale per sussumere la complessità come chiave di traduzione del progetto.Più agronomi ed ingegneri per le energie rinnovabili che architetti, questo il percorso del "Terzo paesaggio"come strumento integrato di progettazione urbana.Storia che ritorna alle origini della nostra civiltà quando, come ricorda Mumford , al suo principale architetto che gli stava proponendo di costruire la metropoli più vasta del mondo di allora, "Alessandro , che non si intendeva solo di strategia ma anche di logistica, bocciò perentoriamente l'idea: Impossibile approvvigionare una città così grande"(Mumford, 1977, pg.177) Se Alessandro partiva dal rapporto campagna-città per pensare la "forma"urbana, proprio tale relazione fu la chiave dell'equilibrata crescita della polis, in quanto "il flusso e il riflusso della gente dalle città alla campagna, seguiva puntualmente il ritmo delle stagioni",(Mumford, 1977, pg.173) come criterio per bilanciare cibo e democrazia.Reintrodurre la stagionalità come criterio di progettazione urbana e non solo dei menù delle scuole, ci riporta immediatamente da un lato alla critica del concetto di progresso e dunque di sviluppo e dall'altro ai teorici dei giardini cinesi del cinque-seicento.Come il grande Zhang Nanyuan, detto Zhang Lian, nato nel nel 1587 a Huating, nel distretto dello Jangsu, che creò la dinastia dei giardinieri Zhang, chiamati appunto "Zhang la Montagna", perché realizzavano "giardini "come colline e montagne, seguendo la mappa delle stagioni per raccontare il ciclo della natura.La combinata e raffinata arte dei giardinieri cinesi si stemperava nel gioco che gli alberi e le foglie raccontavano nelle diverse stagioni, per poter così usare il giardino come un teatro naturale per le proprie poesie.Cosi il grande Ji Cheng all'inizio del '600 racchiuse i criteri della progettazione e costruzione del giardino cinese in un opera in tre tomi intitolata "Yuan Ye" , "che presentava 62 tipi di scenario con disegni"(Lou Qinxi, 2003, pg.110).Questa tradizione cinese di "montaggio e smontaggio" della natura come gioco progettuale del giardino per ricostituire la ciclicità, apre un possibile ri-pensamento al giardino come "Embellissement" della città , come indicava Voltaire nel suo appunto "Embellissement de Paris" del 1749.Prendiamo l'esempio di Parigi tra la fine del '700 e il 1853 quando il barone Hausmann fu nominato prefetto della Senna e defini nel breve volger di due anni il piano del la nuova Parigi che sotto la direzione di Alphand, direttore del Servizio "Promenade et Plantations", trasformò il paesaggio di Parigi.Infatti "questo articolato complesso di lavori, inizio nel 1853 ed ebbe termine nel 1858", comprendendo in unico iter "l'organizzazione della viabilità, la formazione di un sistema di laghi, di ruscelli e di cascate, la creazione di un sistema idrico di alimentazione e smaltimento, la formazione di vasti prati intorno ai laghi, la realizzazione di grotte e di chalets, nonché consistenti interventi di rimboschimento che riguardano, fra l'altro le isole realizzate nel grande lago, le bordure dei corsi d'acqua e delle cascate, i nuovi ingressi al Bois,le alberature lungo le strade principali, e le allées soppresse"(Cerami, 1996, pg.29).Non solo si ripensa Parigi, usando l'ingegneria dei giardini come un teatro, ma si costruisce un servizio pubblico come progettazione e governo dei servizi per il verde pubblico e si apre un antico "Bois"di proprietà statale e ancor prima della corona allo spazio dei "borghesi", dei "cittadini".Questo uso, assolutamente strategico del verde pubblico come governo dell'urbanistica, tocca il suo apogeo nel ripensare Parigi e nel costituire una funzione di servizi, innovativa e pubblica a sostegno non solo del progetto ma soprattutto della gestione.Infatti è proprio poco dopo i moti del 1848 che il Bois viene ceduto dallo stato alla città, con il netto proposito di usarlo per dare al popolo"un modello di tempo libero, contemporaneamente sociale ed individualistico, improntato al valore del "(Cerami, 1996, pg.26).In tutta Europa le politiche erano volte a ripensare le città ed a rispondere ai nuovi bisogni sociali, per la realizzazione dei parchi, la creazione del "verde pubblico", risponde "sia al bisogno di rappresentazione del potere che alle esigenze del pubblico, e per risanare i casi più macroscopici- e pericolosi- di disagio urbano"(Cerami, 1996, pg.41).In fin dei conti questo complesso ed articolato Piano dei Parchi di Haussman non apre la città alla campagna, ma celebra una visione del mondo e dello stile di vita"della società tecnologica, ed industriale, che avanza e della borghesia, che di questa società è il principale attore"(Cerami, 1996, pg.41).Completamente all'opposto dell'utilizzo del Parco come teatro della città, si apre il Garden Movement che proprio a Vienna nel 1920-22, teorizzò e sviluppo operativamente il "Siedlungenpolitik", per usare il "verde"in funzione antiurbana.E' proprio Loos, architetto responsabile del Piano a Vienna, a teorizzare come metodo di progettazione il ribaltamento della catena del valore urbano, iniziando a progettare "dal giardino.Il giardino è di primaria importanza, la casa è secondaria"(Cappiello, 1996, pg.155).Con Loos negli anni venti del secolo scorso, si torna ad Alessandro il Macedone, nel progettare la dimensione urbana a partire dal ciclo alimentare.Ed è in Germania che già nella seconda metà dell'ottocento per poi consolidarsi negli anni venti si rafforza il movimento "degli orti urbani"come strategica risposta al potere della borghesia sulla città e sul la rendita urbana come privatizzazione dello spazi.La città degli orti apre di nuovo il paradosso per trovare un nuovo equilibrio fra agora e campagna come all'inizio della storia della polis , nostra metafora insieme dell'urbano e della politica.A tal fine gli orti urbani rappresentano una "geografia" innovativa sia come ciclo agricolo sia come forma della proprietà, in quanto proprietà comunale affidata alla gestione del privato ma indivisa come proprietà collettiva.Infatti la storia degli orti urbani nasce a metà ottocento in Germania, come già accennato, sia come forma di difesa salariale sia come espressione della comunità locale e della sua funzione collettiva.Nella doppia funzione di difesa salariale e di strategia urbanistica questo movimento trova in Germania una forte crescita sino ad arrivare nel 1921 ad una associazione nazionale, la "Bundesverband der Gartenfreunde" che ha istituzionalizzato il processo spontaneo sino ad allora in movimento in tutta la Germania.Ad oggi in Germani vi sono più di 1,5 milioni di associati di cui ben 80.000 nella sola Berlino.Ma non solo in Germania vi è stata la diffusione del movimento degli orti urbani, anche in Inghilterrra con i "migrant gardens" si è allargato il trend sino ad arrivare ai 300.000 orti attuali.Proprio in Inghilterra vi è una delle più antiche società, la National of Allotment and Leisures Gardeners (NSALG), nata nel 1901 ed ancora attiva.Sempre come associazione incontriamo l'American Community Gardening Association, nata nel 1979, mentre in Giappone nata negli anni ottanta si consolida l'Associazione Shimin-noen Seibi Sokushin-ho.Anche in Italia si consolida l'espansione degli orti attraverso l'associazione Ancescao, fondata nel 1990 e ben sviluppata al Nord e al Centro, dove sono presenti gli orti urbani.Infatti che senso ha che la nostra verdura, quella biologica e di qualità, corra avanti ed indietro sulle autostrade, trasportata da veloci e pesanti autocarri che inquinano e puzzano come i peggiori veicoli.Il trasporto delle migliori qualità di frutta inquina tanto quanto il trasporto delle peggiori tank di chimica, infatti ormai il tema chiave è il rapporto tra città e alimentazione e trasporto.Per questo gli orti in città possono diventare il paradigma della futura città costruita attorno agli orti, partendo dall'agricoltura sostenibile sia come dimensione che come bioagricoltura.Per questo l'Emilia Romagna può esser uno dei luoghi per ri-disegnare la polis a partire proprio dal suo equilibrio con la campagna, in quanto su 18.000 orti urbani quasi 14.000 sono in regione ed esprimono tessuto agricolo e coesione sociale e generazionale.A tal fine gli orti urbani rappresentano una "innovazione" sia sociale che urbanistica.Abbiamo infatti una realtà del fenomeno totalmente concentrato nel Nord e nel Centro, praticamente assente al Sud.Forse questa distribuzione deriva dalle caratteristiche dell'urbanizzazione e della fuga dalle campagne, soprattutto in zone ad alta industrializzazione come risposta alla migrazione in città, mentre al Sud, molto probabilmente la città è rimasta in dialogo con la campagna, il fenomeno è completamente assente.Come abbiamo già detto su 18.000 orti quasi 14.000 sono in Emilia Romagna, mentre la seconda regione come numeri è la Lombardia e la terza le Marche.In questa situazione gli orti dell'Emilia Romagna rappresentano una realtà molto ampia e più articolata che esprime una vera e propria "urbanistica", un possibile progetto per il futuro delle città.La dimensione media per il 64% varia dai 30 ai 70 m2, mentre solo il 12% supera i 100 m2, a fronte di una dimensione ottimale di 70/80 m2 per famiglia.Visto il numero e la dimensione degli orti urbani nella regione e la loro localizzazione, tutti a meno di 5 km dal centro e per l'ottanta per cento serviti dai mezzi pubblici, si può pensare che tale realtà possa diventare il catalizzatore sia per attivare politiche innovative sul km 0 e la catena corta sia per iniziare seriamente a ri-progettare la città a partire dall'energia alimentare.Questo percorso ci riporta ai progetti urbani degli anni venti quando si ripensa la città a partire dal verde, a partire dal ruolo e dalla rizomatica azione del"paradigma vegetale."La "citta giardino"ci riporta agli anni venti quando Le Corbusier, ancora firmandosi Janneret, progetta una "cité jardin" a La Chaux de Fonde e poi al movimento "disurbanista"dell'Unione Sovietica degli anni "30, fino a Leberecht Migge che ad Amburgo già negli anni dieci del secolo scorso teorizzava lucidamente che "attraverso la diffusione del giardino domestico, dei Kleingarten, dei giardini pubblici, disegnati in forma moderna,possa essere riconfigurata la metropoli stessa"(Cappiello, 1996, pg.156).Ma è con il grande progetto dell'Amsterdamse Bos del 1934 che si riprende il filo interrotto a Parigi nell'ottocento per collegare un grande progetto "agricolo" alla risistemazione della città.Negli anni venti A.W.Boss, direttore del dipartimento municipale dei lavori pubblici, redige il Piano per la Grande Amsterdam, con la creazione di una cintura verde nella parte meridionale della città che "sotto l'onda dell grave crisi recessiva vengono avviati i lavori con finalità keynesiane, occupando oltre 5000 persone."(Cappiello, 1996, pg,163).Questo grande progetto che cambia la struttura di Amsterdam e serve anche come ammortizzatore sociale è il primo realizzato con una"nuova sensibilità per i principi dell'ecologia"(Cappiello, 1996, pg.163).Con il progetto dell'Amsterdamse Bos si coniugano per la prima volta la progettazione dei parchi, il ruolo sociale della spesa pubblica e l'innovazione di questa spesa come veicolo dell'innovazione ecologica, ritrovando la funzione della "forest" del cinquecento, quando si defina il ruolo del bosco come "for rest", "per il riposo", solo per il re, ma in ogni caso si manifesta che il bosco e la foresta sono risultati di scelte derivanti da "un antico corpus di leggi forestali"(Pogue Harrison, 1992, pg.90).Dopo l'uscita del sapiens dalla savana, ogni spazio è un "residuo", un limite , un confine " confine tra foresta/agricoltura o cittàconfine tra macchia/agricoltura o cittàconfine tra grigia/agricoltura o cittàconfine tra landa/ agricoltura o cittàconfine tra incolto/agricoltura o città "(Clement, 2005, pg.44),di fatto non esiste più la natura incontaminata perché eravamo nel giardino, ma abbiamo "trasgredito"."Il Signore Dio lo scaccio dal giardino dell'Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto"(Genesi 3.23), di qua fino ai nostri orti sociali è tutta una lunga storia di "città nata in opposizione al giardino"(Venturi Ferraiolo, 2000, pg. 81), in quanto :"Ora Caino si unì alla moglieche concepì e partorì Enoch;poi divenne costruttore di una città,che chiamo Enoch, dal nome del figlio."(Genesi 4.17).Di qua la nostra storia per riavere "il giardino".

Oscar Marchisio

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