mercoledì, dicembre 02, 2009

Alessio Delfino espone a Miami e New York....

Il giovane artista savonese Alessio Delfino presenta un suo video tratto dalla serie Metamorphoseis ad Art Scope Miami 2009, dal 2 al 6 dicembre 2009 presso lo stand di Kips Gallery New York (Stand B1). Si tratta di una edizione del video polittico (a sei canali) tratto dalla serie “Metamorphoseis”.
Negli stessi giorni Miami sarà il centro dell'arte mondiale, grazie alla presenza della fiera madre Art Basel Miami Beach e di circa oltre venti fiere collaterali, tra cui la giovane Art Scope, una delle più qualificate fiere con gallerie storiche e giovani a proporre il meglio dell'arte giovane. I più importanti collezionisti del mondo da oltre dieci anni si danno appuntamento in questa città che ha conosciuto i fasti di una rinascita a seguito di una riqualificazione urbana e oggi è considerata la porta dell'arte proveniente dall'America Latina e la capitale del Design. L'arte statunitense è naturalmente in primo piano, ma non mancano centinaia di artisti provenienti dall'Europa e dall'Asia.
Alessio Delfino mostra personale a New York
Grazie all'apprezzamento che il suo lavoro ha ricevuto sulla scena newyorkese, Alessio Delfino è stato invitato da Kips Gallery ad esporre nella sua prima mostra personale a New York, con cui la galleria presenta l'intero lavoro Metamorposeis e il libro corredato dai testi critici del noto critico americano Robert C. Morgan e del critico italiano e curatore della mostra Nicola D. Angerame.
Metamorphoseis è una serie fotografica e video realizzata da Alessio Delfino tra il 2007 e 2008, formata da un nucleo di lavori che compongono una rilettura personale, da parte dell’artista, del Pantheon greco. Ritratti di modelle e donne comuni d’ogni nazionalità che esemplificano ciò che Aby Warburg ha definito la “bella indifferenza” delle dee antiche, che “sopravvive” e ritorna nel mondo contemporaneo sotto diversa forma, dopo una metamorfosi, affinché quanto proviene dalla (nostra) storia non sia vanificato come passato, ma rievocato e rianimato come occasione interpretativa di un tempo presente che pone interrogativi, alimenta dubbi e produce enigmi.
La serie esposta in mostra comprende 18 fotografie stampate a grandezza naturale su carta metallica e due video, il primo dei quali (delle dimensioni di 3 x 1,70 m) rappresenta un polittico con sei corpi in trasformazione continua e perpetua: una metamorfosi in cui ciascun corpo si trasforma in un altro e che può durare all'infinito poiché il video non ha soluzione di continuità e poiché l'inizio e la fine si ricollegano in un loop che non mostra cesure.
“Oggi ci troviamo nella singolare condizione di aver bisogno di valori assoluti – spiega il curatore della mostra newyorkese Nicola Davide Angerame - ma siamo nell’impossibilità di rappresentarceli: questo Pantheon Alessio Delfino è la semplificazione efficace di tutto ciò. La dea è l’incarnazione di un mito e quindi di una serie intrinseca di valori, idee e narrazioni che non trovano più credito nella nostra contemporaneità. Essa diventa così una figura seriale, può incarnarsi nel volto delle celebrità serigrafate all’infinito da Andy Warhol oppure venire colta come replica di uno standard ideale, di un modello originale che non si offre se non sotto forma di aspirazione nei sogni e nel desiderio dell’artista. Così avviene nel lavoro di Delfino”.
“Nel mio lavoro – spiega Alessio Delfino - tento di azzerare la mia espressività d’interprete per rendere più visibile la ricchezza che ogni corpo racchiude in sé, nelle sue proporzioni. Ogni fisionomia è un carattere e ogni carattere è un profilo psicologico, una storia, un simbolo: in una parola un mito. Per questo ho deciso di dare a ciascuna delle mie “creature” un nome di divinità greca. Voglio riattivare sensi scomparsi ma anche giocare a nominare dee delle donne normali, impiegate, studentesse, casalinghe. La fotografia le nobilita e loro nobilitano la fotografia. A volte sono modelle bellissime, ma sono innanzitutto donne e in alcuni casi amiche. Si prestano a questo gioco serio, che nel breve intervallo di un servizio fotografico può trasformarsi in odio o diventare amore. Basta guardare le mie foto per capire chi ho amato e chi odiato, credo che sia evidente a tutti e ne ho quasi paura. Mi sento totalmente denudato in queste immagini che, dietro un’apparente neutralità, rivelano secondo me un’intensa emozionalità. Le ho concepite come un lavoro sul nudo anti erotico, uno studio dedicato al corpo e alla pelle, alle proporzioni e alle sensazioni che ogni singolo individuo suscita per il solo fatto di avere quel corpo lì e non un altro. La nostra identità passa soprattutto di là, ma non ce ne accorgiamo più perché oggi se non hai un corpo omologato alle misure folli della moda e della pubblicità ti senti inadeguato e pensi che quell’involucro di carne che circonda la tua anima non valga. Per le donne questa imposizione culturale, figlia di un approccio edonistico e consumistico, è ancora più drammatica”.
Il lavoro di Delfino si concentra infatti nello studio del modello idealtipico. Dopo la preparazione del corpo e la realizzazione dello scatto, attentamente studiato per ottenere le stesse luci sull’ennesima copia, i corpi ritratti sprigionano paradossalmente tutta la forza della loro unicità fisica ed espressiva, in forza della quale l’artista attribuisce successivamente il nome. Nominare è un lavoro da creatore, da chi vanta una supremazia sul mondo reale e se lo appropria dando nomi alle cose: il linguaggio ha avuto inizio così. Per Delfino dare un nome alle sue dee è parte integrante del lavoro fotografico, come se la sola immagine non bastasse a se stessa e questo plotone femminile avesse bisogno di assumere le parole ormai mute di un mito per parlare, così come il mito ha avuto bisogno in passato dell’immagine per farsi vedere.

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