Teatro dell'Opera del Casinò di Sanremo, delle grandi occasioni, oggi pomeriggio per assistere alla conferenza tenuta da Don Andrea Gallo sul tema “Nessuno si salva da solo”. Don Gallo, ha ricevuto molti applausi, ed ha presentato anche il suo libro “Se non ora adesso. Quello che conta è la capacità di darsi un futuro.” Il prete è stato introdotto da Claudio Porchia e Ito Ruscigni.
Le nuove generazioni non hanno bisogno di maestri ma di testimoni, nessuna predica, solo esempi. Don Gallo racconta episodi di vita vissuta (l’adolescenza, la mamma, i suoi incontri e battaglie) e si appella alla voglia di reagire dei giovani e delle donne. A cominciare dal sesso, che non deve essere un’arma del potere per sfruttare e discriminare, … ma una spinta a essere se stessi e a stare bene con l’altro. Prima viene l’etica, poi la fede, dice don Gallo. Anche in famiglia, nella strada, sul lavoro. Ogni giorno. Allora il disagio di chi non è omologato, degli ultimi e dei diversi non sarà più un problema di ordine pubblico, piuttosto un’occasione di confronto, una questione sociale e umana che riguarda tutti. La forza “eversiva” del Vangelo è in un’idea di cittadinanza ricostruita a partire dall’incontro con gli altri, in pace, per un cammino veramente liberatorio a fianco dei più oppressi.
Don Andrea Gallo (Genova 1928) è sacerdote dal 1959. Nel 1975 ha avviato la Comunità di San Benedetto al Porto per il recupero degli emarginati. Tra i suoi libri, Così in terra come in cielo (Mondadori 2010), Sono venuto per servire (con Loris Mazzetti, Aliberti 2010), Di sana e robusta costituzione (Aliberti 2011).
Dimmi chi escludi e ti dirò chi sei”
pensiero di Don Andrea Gallo
Gli uomini sono tutti uguali? No. Gli uomini sono tutti diversi. Io non ne ho mai visti due uguali ma ciascuno presenta una propria specificità e differisce da ogni altro soggetto nelle personali prerogative identitarie.
É per questa diversità che ci riconosciamo ed è grazie ad essa che comunichiamo e comunicando ci arricchiamo. La diversità tuttavia è difficile da comprendere ed è difficile conviverci, sia per chi ne è “portatore” sia per chi la percepisce come tale. Se è vero infatti che l’integrazione è saper vivere con gli altri, qualunque altro, è altrettanto vero che considerare la diversità elemento costitutivo della molteplicità e della ricchezza che compone e sempre di più comporrà il tessuto sociale, è quanto di più lontano ci sia dal crescente "sentire comune", anche tra i cristiani.
Le persone straniere, gli omosessuali, i rom creano un’idea di “insostenibilità culturale”, percepita, indotta o reale.
Si incontrano così sempre più spesso "anime individuali" incapaci di collegare la loro sofferenza quotidiana con il dolore degli altri. Meglio star bene e gratificarsi oggi se il domani è senza certezze. È quindi implicito che «ci si salva da soli» ma anche amaramente «ci si dispera da soli»: logica conseguenza di aver creato e goduto privatamente, essendosi illusi di arrivare primi a discapito degli altri.
Il dialogo, sappiamo, non è cosa indolore. Il confronto può anche essere conflittuale ma solo attraverso il confronto le culture diventano grandi. Aprirsi alle "altre culture" è infatti uno dei principali viatici per rinforzare la propria identità, anche quella cristiana, che ci permetterà di costruire un mondo colorato e non monotono, ricco dei colori dell’umanità.
La verità è una ed unica ma l’uomo ne coglie solo un aspetto. L’unione dei punti di vista diversi ci consente di avere un sguardo ed una conoscenza più ampia della verità pur sapendo che essa supera ed è di gran lunga più grande di tutti gli sguardi insieme. Nessuno ne è padrone ma tutti ne sono servitori; la comunione degli uomini ne è l’espressione più significativa.
Visconti don Claudio - direttore Caritas Diocesana Bergamasca
Andrea nasce a Genova il 18 Luglio 1928 e viene immediatamente richiamato, fin dall'adolescenza, da Don Bosco e dalla sua dedizione a vivere a tempo pieno "con" gli ultimi, i poveri , gli emarginati, per sviluppare un metodo educativo che ritroveremo simile all'esperienza di Don Milani, lontano da ogni forma di coercizione.
Attratto dalla vita salesiana inizia il noviziato nel 1948 a Varazze, proseguendo poi a Roma il Liceo e gli studi filosofici.
Nel 1953 chiede di partire per le missioni e viene mandato in Brasile a San Paulo dove compie studi teologici: la dittatura che vigeva in Brasile, lo costringe, in un clima per lui insopportabile, a ritornare in Italia l'anno dopo.
Prosegue gli studi ad Ivrea e viene ordinato sacerdote il 1 luglio 1959.
Un anno dopo viene nominato cappellano alla nave scuola della Garaventa, noto riformatorio per minori: in questa esperienza cerca di introdurre una impostazione educativa diversa, dove fiducia e libertà tentavano di prendere il posto di metodi unicamente repressivi; i ragazzi parlavano con entusiasmo di questo prete che permetteva loro di uscire, poter andare al cinema e vivere momenti comuni di piccola autogestione, lontani dall'unico concetto fino allora costruito, cioè quello dell'espiazione della pena.
Tuttavia, i superiori salesiani, dopo tre anni lo rimuovono dall'incarico senza fornirgli spiegazioni e nel '64 Andrea decide di lasciare la congregazione salesiana chiedendo di entrare nella diocesi genovese: "la congregazione salesiana, dice Andrea, si era istituzionalizzata e mi impediva di vivere pienamente la vocazione sacerdotale".
Viene inviato a Capraia e nominato cappellano del carcere: due mesi dopo viene destinato in qualità di vice parroco alla chiesa del Carmine dove rimarrà fino al 1970, anno in cui verrà "trasferito" per ordine del Cardinale Siri.
Lasciare materialmente la parrocchia non significa per lui abbandonare l'impegno che ha provocato l'atteggiamento repressivo nei suoi confronti: i suoi ultimi incontri con la popolazione, scesa in piazza per esprimergli solidarietà, sono una decisa riaffermazione di fedeltà ai suoi ideali ed alla sua battaglia "La cosa più importante, diceva, che tutti noi dobbiamo sempre fare nostra è che si continui ad agire perché i poveri contino, abbiano la parola: i poveri, cioè la gente che non conta mai, quella che si può bistrattare e non ascoltare mai.
Ecco, per questo dobbiamo continuare a lavorare!"
Qualche tempo dopo, viene accolto dal parroco di S. Benedetto, Don Federico Rebora, ed insieme ad un piccolo gruppo nasce la comunità di base, la Comunità di S. Benedetto al Porto: che lavora ancora dopo trent’anni.
Le nuove generazioni non hanno bisogno di maestri ma di testimoni, nessuna predica, solo esempi. Don Gallo racconta episodi di vita vissuta (l’adolescenza, la mamma, i suoi incontri e battaglie) e si appella alla voglia di reagire dei giovani e delle donne. A cominciare dal sesso, che non deve essere un’arma del potere per sfruttare e discriminare, … ma una spinta a essere se stessi e a stare bene con l’altro. Prima viene l’etica, poi la fede, dice don Gallo. Anche in famiglia, nella strada, sul lavoro. Ogni giorno. Allora il disagio di chi non è omologato, degli ultimi e dei diversi non sarà più un problema di ordine pubblico, piuttosto un’occasione di confronto, una questione sociale e umana che riguarda tutti. La forza “eversiva” del Vangelo è in un’idea di cittadinanza ricostruita a partire dall’incontro con gli altri, in pace, per un cammino veramente liberatorio a fianco dei più oppressi.
Don Andrea Gallo (Genova 1928) è sacerdote dal 1959. Nel 1975 ha avviato la Comunità di San Benedetto al Porto per il recupero degli emarginati. Tra i suoi libri, Così in terra come in cielo (Mondadori 2010), Sono venuto per servire (con Loris Mazzetti, Aliberti 2010), Di sana e robusta costituzione (Aliberti 2011).
Dimmi chi escludi e ti dirò chi sei”
pensiero di Don Andrea Gallo
Gli uomini sono tutti uguali? No. Gli uomini sono tutti diversi. Io non ne ho mai visti due uguali ma ciascuno presenta una propria specificità e differisce da ogni altro soggetto nelle personali prerogative identitarie.
É per questa diversità che ci riconosciamo ed è grazie ad essa che comunichiamo e comunicando ci arricchiamo. La diversità tuttavia è difficile da comprendere ed è difficile conviverci, sia per chi ne è “portatore” sia per chi la percepisce come tale. Se è vero infatti che l’integrazione è saper vivere con gli altri, qualunque altro, è altrettanto vero che considerare la diversità elemento costitutivo della molteplicità e della ricchezza che compone e sempre di più comporrà il tessuto sociale, è quanto di più lontano ci sia dal crescente "sentire comune", anche tra i cristiani.
Le persone straniere, gli omosessuali, i rom creano un’idea di “insostenibilità culturale”, percepita, indotta o reale.
Si incontrano così sempre più spesso "anime individuali" incapaci di collegare la loro sofferenza quotidiana con il dolore degli altri. Meglio star bene e gratificarsi oggi se il domani è senza certezze. È quindi implicito che «ci si salva da soli» ma anche amaramente «ci si dispera da soli»: logica conseguenza di aver creato e goduto privatamente, essendosi illusi di arrivare primi a discapito degli altri.
Il dialogo, sappiamo, non è cosa indolore. Il confronto può anche essere conflittuale ma solo attraverso il confronto le culture diventano grandi. Aprirsi alle "altre culture" è infatti uno dei principali viatici per rinforzare la propria identità, anche quella cristiana, che ci permetterà di costruire un mondo colorato e non monotono, ricco dei colori dell’umanità.
La verità è una ed unica ma l’uomo ne coglie solo un aspetto. L’unione dei punti di vista diversi ci consente di avere un sguardo ed una conoscenza più ampia della verità pur sapendo che essa supera ed è di gran lunga più grande di tutti gli sguardi insieme. Nessuno ne è padrone ma tutti ne sono servitori; la comunione degli uomini ne è l’espressione più significativa.
Visconti don Claudio - direttore Caritas Diocesana Bergamasca
Andrea nasce a Genova il 18 Luglio 1928 e viene immediatamente richiamato, fin dall'adolescenza, da Don Bosco e dalla sua dedizione a vivere a tempo pieno "con" gli ultimi, i poveri , gli emarginati, per sviluppare un metodo educativo che ritroveremo simile all'esperienza di Don Milani, lontano da ogni forma di coercizione.
Attratto dalla vita salesiana inizia il noviziato nel 1948 a Varazze, proseguendo poi a Roma il Liceo e gli studi filosofici.
Nel 1953 chiede di partire per le missioni e viene mandato in Brasile a San Paulo dove compie studi teologici: la dittatura che vigeva in Brasile, lo costringe, in un clima per lui insopportabile, a ritornare in Italia l'anno dopo.
Prosegue gli studi ad Ivrea e viene ordinato sacerdote il 1 luglio 1959.
Un anno dopo viene nominato cappellano alla nave scuola della Garaventa, noto riformatorio per minori: in questa esperienza cerca di introdurre una impostazione educativa diversa, dove fiducia e libertà tentavano di prendere il posto di metodi unicamente repressivi; i ragazzi parlavano con entusiasmo di questo prete che permetteva loro di uscire, poter andare al cinema e vivere momenti comuni di piccola autogestione, lontani dall'unico concetto fino allora costruito, cioè quello dell'espiazione della pena.
Tuttavia, i superiori salesiani, dopo tre anni lo rimuovono dall'incarico senza fornirgli spiegazioni e nel '64 Andrea decide di lasciare la congregazione salesiana chiedendo di entrare nella diocesi genovese: "la congregazione salesiana, dice Andrea, si era istituzionalizzata e mi impediva di vivere pienamente la vocazione sacerdotale".
Viene inviato a Capraia e nominato cappellano del carcere: due mesi dopo viene destinato in qualità di vice parroco alla chiesa del Carmine dove rimarrà fino al 1970, anno in cui verrà "trasferito" per ordine del Cardinale Siri.
Lasciare materialmente la parrocchia non significa per lui abbandonare l'impegno che ha provocato l'atteggiamento repressivo nei suoi confronti: i suoi ultimi incontri con la popolazione, scesa in piazza per esprimergli solidarietà, sono una decisa riaffermazione di fedeltà ai suoi ideali ed alla sua battaglia "La cosa più importante, diceva, che tutti noi dobbiamo sempre fare nostra è che si continui ad agire perché i poveri contino, abbiano la parola: i poveri, cioè la gente che non conta mai, quella che si può bistrattare e non ascoltare mai.
Ecco, per questo dobbiamo continuare a lavorare!"
Qualche tempo dopo, viene accolto dal parroco di S. Benedetto, Don Federico Rebora, ed insieme ad un piccolo gruppo nasce la comunità di base, la Comunità di S. Benedetto al Porto: che lavora ancora dopo trent’anni.
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