Si inaugura il 15 marzo 2011 (ore 18 – 22) presso Whitelabs di Milano la mostra Once Upon a Time di Chiara Coccorese e Alessandro Pagani a cura di Nicola Davide Angerame. Con il supporto dell’Azienda vinicola Tenuta Tenaglia. Il progetto espone, per la prima volta a Milano, le fotografie della napoletana Chiara Coccorese e i dipinti dell’artista milanese Alessandro Pagani. Circa trenta opere recenti, in parte inedite, narrano l’immaginario di due giovani artisti impegnati nella “ripresa della favola in senso postmoderno”.
Il mondo di Chiara Coccorese (Napoli 1982), costruito secondo i dettami della stage photography, rappresenta un luogo di sopravvivenza di una narrazione mitica, accogliente ed inquietante, come è il mondo della fiaba. La ricerca artistica di Coccorese ha origine nella pittura, nella quale sperimenta, accanto al tradizionale colore ad olio, gli effetti di diversi materiali come la cera, la cartapesta e la plastilina, applicati sui più svariati supporti: tele, legno, ceramica, stoffe. La fotografia compare gradualmente e diventa protagonista nel momento in cui la ricerca sui materiali porta Coccorese a creare piccole scenografie che riproducono paesaggi fantastici o frammenti di favole, classiche o inventate. Anche le carte da gioco possono offrire lo spunto per la costruzione di scene drammatiche che trovano nel colore, acceso e saturo, un elemento stilisticamente determinante per fare fuoriuscire la scena dal mondo reale della riproduzione e offrirle i toni fiabeschi di una rappresentazione che immortala frammenti di pura immaginazione. Alessandro Pagani (Milano 1973) dipinge, dopo le serie dedicate alla boxe, alle montagne bellunesi e ai diorama del Museo di Storia Naturale di Milano, questa nuova serie di opere che traggono spunto dal cinema di Herzog, di Greenaway, dal grande cinema horror degli anni Settanta e dai b-movie. Si tratta per Pagani di andare a ritracciare una personale emozione estetica infantile, dentro un flusso di opere che sembrano “scorrere” come altrettanti fotogrammi di un flusso di cosceinza.
All’interno di una pittura “atmosferica”, che prende spunto dal fotorealismo per costruire un linguaggio condiviso, Pagani inserisce l’elemento originale della “defigurazione” dei volti dei personaggi. In questo modo mette in scena il “rimosso” ed esalta il mostruoso, il perturbante, dentro scene che mantengono ed esaltano la tensione compositiva dei registi da lui ammirati. Alcuni dipinti sono disposti con una banda nera alla base e un frammento di titolo possibile, a indicare che l’immagine aspira ad essere una “locandina” pubblicitaria del film citato. “Non direi che il cinema è evasione – dichiara Pagani – ma piuttosto una iper-realtà. Spesso mi trovo a confondere la mia memoria personale con quella cinematografica”.
Nosferatu, L’Esorcista, The draughtman contract, L’amico americano, sono alcuni dei film con cui Pagani costruisce una propria narrazione, tracciando le tappe di un percorso favoloso che non ha più capo né coda, ma soltanto personaggi bizzarri ritratti dentro una dimensione i(pe)rreale, lacerata e tra figurazione ed astrazione. Il suo mentore è un personaggio di b-movie come il Dr Phibes, interpretato da Vincent Price, eroe pulp con il quale Pagani s’identifica quando “sfigura” i suoi personaggi.
Il mondo di Chiara Coccorese (Napoli 1982), costruito secondo i dettami della stage photography, rappresenta un luogo di sopravvivenza di una narrazione mitica, accogliente ed inquietante, come è il mondo della fiaba. La ricerca artistica di Coccorese ha origine nella pittura, nella quale sperimenta, accanto al tradizionale colore ad olio, gli effetti di diversi materiali come la cera, la cartapesta e la plastilina, applicati sui più svariati supporti: tele, legno, ceramica, stoffe. La fotografia compare gradualmente e diventa protagonista nel momento in cui la ricerca sui materiali porta Coccorese a creare piccole scenografie che riproducono paesaggi fantastici o frammenti di favole, classiche o inventate. Anche le carte da gioco possono offrire lo spunto per la costruzione di scene drammatiche che trovano nel colore, acceso e saturo, un elemento stilisticamente determinante per fare fuoriuscire la scena dal mondo reale della riproduzione e offrirle i toni fiabeschi di una rappresentazione che immortala frammenti di pura immaginazione. Alessandro Pagani (Milano 1973) dipinge, dopo le serie dedicate alla boxe, alle montagne bellunesi e ai diorama del Museo di Storia Naturale di Milano, questa nuova serie di opere che traggono spunto dal cinema di Herzog, di Greenaway, dal grande cinema horror degli anni Settanta e dai b-movie. Si tratta per Pagani di andare a ritracciare una personale emozione estetica infantile, dentro un flusso di opere che sembrano “scorrere” come altrettanti fotogrammi di un flusso di cosceinza.
All’interno di una pittura “atmosferica”, che prende spunto dal fotorealismo per costruire un linguaggio condiviso, Pagani inserisce l’elemento originale della “defigurazione” dei volti dei personaggi. In questo modo mette in scena il “rimosso” ed esalta il mostruoso, il perturbante, dentro scene che mantengono ed esaltano la tensione compositiva dei registi da lui ammirati. Alcuni dipinti sono disposti con una banda nera alla base e un frammento di titolo possibile, a indicare che l’immagine aspira ad essere una “locandina” pubblicitaria del film citato. “Non direi che il cinema è evasione – dichiara Pagani – ma piuttosto una iper-realtà. Spesso mi trovo a confondere la mia memoria personale con quella cinematografica”.
Nosferatu, L’Esorcista, The draughtman contract, L’amico americano, sono alcuni dei film con cui Pagani costruisce una propria narrazione, tracciando le tappe di un percorso favoloso che non ha più capo né coda, ma soltanto personaggi bizzarri ritratti dentro una dimensione i(pe)rreale, lacerata e tra figurazione ed astrazione. Il suo mentore è un personaggio di b-movie come il Dr Phibes, interpretato da Vincent Price, eroe pulp con il quale Pagani s’identifica quando “sfigura” i suoi personaggi.
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