Whitelabs Milano è lieta di presentare Mario Schifano. Si tratta di opere scelte a cura di Nicola Davide Angerame. L'appuntamento è per giovedì 20 gennaio 2011 dalle ore 18.00 alle 22.00.
Gli anni passano e la popolarità di Mario Schifano aumenta. Secondo un recente sondaggio dell’autorevole rivista Exibart.com, il 2010 ha visto in Italia primeggiare proprio “il Puma”, con un attivo di oltre ottanta mostre a lui dedicate.
Mario Schifano è stato uno dei primi a fuoriuscire, come un satellite che tange un pianeta per accelerare la sua corsa verso lo spazio siderale, dalla cultura massimalista per protrarsi verso le più lontane e desolate frontiere dell’individualismo.
Artista geniale e solo, Schifano è stato amato dalle donne, dagli amici, dall’intellighenzia italiana e dai colleghi di New York. Ma era anche solo di fronte a se stesso e spesso preda di quella fame di vita e di sensazioni che hanno segnato i momenti più drammatici della sua vita. Schifano ci ha raccontato per primo l’avvento della comunicazione globale ed è stato dalla parte della democrazia intesa come inizio della fine delle ideologie. La sua arte ha rappresentato una forza di rinnovamento che questa mostra permette di leggere in controluce. Portatrice di valori come l’individualismo, la libera creatività e l’anti-ideologia, la pittura di Schifano ci ha insegnato che malgrado possano esistere epoche fortemente ideologizzate, l’arte può e deve restare un’avventura profondamente umana, personale, esistenziale. Soltanto così può aspirare a quell’eterna giovinezza che le spetta di diritto.La mostra raccoglie opere provenienti da collezioni private e appartenenti ai due decenni d’oro di Schifano, quegli anni Sessanta e Settanta che lo hanno visto creare serie di opere che hanno segnato i tempi, come i Paesaggi anemici ed i Paesaggi tv. Una delle prime Palme del 1970 e un Albero della vita del 1970, rappresentano invece il retaggio dell’infanzia libica dell’artista e il segno di un’attenzione per la natura che Schifano alimenta negli anni Ottanta.
A tredieci anni dalla sua scomparsa, avvenuta nel 1998, la mostra vuole ricordare la figura di uno dei più originali artisti italiani del secondo dopoguerra. Mario Schifano è un artista mediterraneo (istintivo, caldo, armonico e violentemente cromatico) che guarda all’America. E’ l’Andy Warhol italiano che diventa presto un “personaggio pubblico”, amico del jet set e dei grandi artisti americani, da Robert Rauschenberg a Jasper Johns, ma anche di una generazione di artisti romani, tra cui Tano Festa, Franco Angeli e Renato Mambor, Giosetta Fioroni e altri, passati alla storia come Scuola di Piazza del Popolo. Grazie alle sue vivaci intuizioni, alla sua arte graffiante, alla sua estetica (colta e popolare insieme) e ad una vita intessuta di sregolatezze (e coup de théâtre), Schifano è uno degli ultimi artisti contemporanei iscritto nel Pantheon dei “maledetti”, in un’epoca in cui questa figura scompare a vantaggio dell’artista-businessman o dell’artista-pubblicitario o dell’artista-artigiano.
Gli anni passano e la popolarità di Mario Schifano aumenta. Secondo un recente sondaggio dell’autorevole rivista Exibart.com, il 2010 ha visto in Italia primeggiare proprio “il Puma”, con un attivo di oltre ottanta mostre a lui dedicate.
Mario Schifano è stato uno dei primi a fuoriuscire, come un satellite che tange un pianeta per accelerare la sua corsa verso lo spazio siderale, dalla cultura massimalista per protrarsi verso le più lontane e desolate frontiere dell’individualismo.
Artista geniale e solo, Schifano è stato amato dalle donne, dagli amici, dall’intellighenzia italiana e dai colleghi di New York. Ma era anche solo di fronte a se stesso e spesso preda di quella fame di vita e di sensazioni che hanno segnato i momenti più drammatici della sua vita. Schifano ci ha raccontato per primo l’avvento della comunicazione globale ed è stato dalla parte della democrazia intesa come inizio della fine delle ideologie. La sua arte ha rappresentato una forza di rinnovamento che questa mostra permette di leggere in controluce. Portatrice di valori come l’individualismo, la libera creatività e l’anti-ideologia, la pittura di Schifano ci ha insegnato che malgrado possano esistere epoche fortemente ideologizzate, l’arte può e deve restare un’avventura profondamente umana, personale, esistenziale. Soltanto così può aspirare a quell’eterna giovinezza che le spetta di diritto.La mostra raccoglie opere provenienti da collezioni private e appartenenti ai due decenni d’oro di Schifano, quegli anni Sessanta e Settanta che lo hanno visto creare serie di opere che hanno segnato i tempi, come i Paesaggi anemici ed i Paesaggi tv. Una delle prime Palme del 1970 e un Albero della vita del 1970, rappresentano invece il retaggio dell’infanzia libica dell’artista e il segno di un’attenzione per la natura che Schifano alimenta negli anni Ottanta.
A tredieci anni dalla sua scomparsa, avvenuta nel 1998, la mostra vuole ricordare la figura di uno dei più originali artisti italiani del secondo dopoguerra. Mario Schifano è un artista mediterraneo (istintivo, caldo, armonico e violentemente cromatico) che guarda all’America. E’ l’Andy Warhol italiano che diventa presto un “personaggio pubblico”, amico del jet set e dei grandi artisti americani, da Robert Rauschenberg a Jasper Johns, ma anche di una generazione di artisti romani, tra cui Tano Festa, Franco Angeli e Renato Mambor, Giosetta Fioroni e altri, passati alla storia come Scuola di Piazza del Popolo. Grazie alle sue vivaci intuizioni, alla sua arte graffiante, alla sua estetica (colta e popolare insieme) e ad una vita intessuta di sregolatezze (e coup de théâtre), Schifano è uno degli ultimi artisti contemporanei iscritto nel Pantheon dei “maledetti”, in un’epoca in cui questa figura scompare a vantaggio dell’artista-businessman o dell’artista-pubblicitario o dell’artista-artigiano.
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