Il nuovo ciclo di incontri "Un libro... un autore", prenderà il via lunedì 19 dicembre alle ore 21 in Sala Gallesio, con la presentazione del libro di Gabriello Castellazzi "Ritorno a Finalborgo". Le iniziative sono patrocinate dall'assessorato alla cultura del Comune di Finale Ligure e dalla Biblioteca Mediateca Finalese. L'ingresso è libero.
Prefazione del giornalista e scrittore Stefano Delfino: “Ritorno a Finalborgo” segue e completa “Cunta”. Questo libro prende il nome da un nuovo significativo racconto in cui Gabriello Castellazzi è riuscito ancora una volta a sprigionare sulla pagina scritta l’amore viscerale per il suo paese, i suoi personaggi, le sue storie. Come Virgilio accompagnava Dante nell’itinerario della “Divina Commedia”, l’autore prende per mano il lettore e gli fa da guida in un percorso che si dipana attraverso i ricordi di tanti cittadini ai quali Gabriello ha saputo ridestare memorie remote e forse, in qualche caso, se non dimenticate, di certo rimosse. Dalle tante tessere, raccolte qua e là negli anni, spesso dalla viva voce degli stessi protagonisti o testimoni, nel volume si va componendo un mosaico di vicende, ora drammatiche, ora sorridenti, di figure caratteristiche, di eroismi grandi e piccoli, che costituiscono poi l’essenza di una comunità ormai scomparsa. Il libro, oltre che da nuovi racconti, è arricchito adesso anche dall’identità dei soggetti che quelle storie a Gabriello hanno narrato. Alcune di esse erano già state intuite da chi di questo territorio ha conoscenza diretta, altre invece sono una sorpresa. “Racconti veri” è il sottotitolo: e conoscerne i protagonisti è quasi una garanzia di autenticità, a conferma che non si tratta di un’opera di fantasia, ma piuttosto di una certosina, documentata raccolta di testimonianze autentiche. Chi certe situazioni ha avuto la fortuna di non viverle (l’allusione è agli episodi della guerra) sa quanto sia importante trasmettere alle nuove generazioni le attestazioni dirette dalla viva voce di quanti le hanno vissute sulla propria pelle e che (per evidenti ragioni anagrafiche) sono ormai sempre meno. È giusto, tanto più in momenti difficili come l’attuale, tramandarle ai giovani, affinché non sbiadiscano. E così in “Ritorno a Finalborgo” la dettagliata narrazione delle peripezie di Antonio sfuggito a Mauthausen (peripezie che ai ragazzi di adesso possono sembrare lontane, se non addirittura incredibili), ma non a mille altre disavventure belliche, offre qualche analogia con le peregrinazioni di Ulisse nel suo tormentato viaggio verso Itaca. Ma in questo libro, che sarebbe opportuno adottare nelle scuole come testo di lettura, ci sono anche riferimenti agli eventi culturali del Borgo e, tra le immagini gustose de “La stecca”, quella del frate domenicano che si allontana dal convento su di un carro traballante, brontolando contro la presunta ingratitudine dei concittadini. Questo fa venire in mente il francescano San Leonardo, l’ideatore della Via Crucis, il quale, nel lasciare Porto Maurizio, aveva scrollato energicamente i suoi sandali, affinché non vi restasse neppure un granello di polvere. Inoltre - per chi abbia voglia di esplorarlo attraverso queste pagine - si riscopre l'intero Finalese come miniera di storie e di gustosi aneddoti. Un microcosmo che sarebbe piaciuto a Guareschi o a Piero Chiara, con il suo intreccio di episodi, specchio di un’epoca ormai (irrimediabilmente?) passata e con un’ampiezza territoriale in grado di spaziare dal mare alle terragne vicende delle valli e delle colline dell’entroterra. Così ha fatto Gabriello che, intingendo proustianamente la penna nell’inchiostro dei ricordi come una sorta di Indiana Jones della memoria, si è avventurato nei meandri di quell’immenso patrimonio di storie mai raccontate o, in qualche caso, dimenticate, che sempre esiste in ogni piccola comunità. Alzi la mano chi sapeva, o ricordava, che uno scrittore celebre come Nabokov, l’autore di “Lolita” aveva soggiornato a Finalmarina come il Premio Nobel Alexander Fleming, lo scopritore della penicillina. E che Hemingway era stato visto passeggiare per Finalborgo. E chi sapeva che anche un regista famoso come Federico Fellini aveva fatto sosta qui e, magari soltanto per un attimo, aveva accarezzato l’idea di ambientare in Borgo un suo film. E non è forse una folgorante scenetta cinematografica l’incontro del giovane cameriere con il Principe, il grande Totò al quale aveva portato il caffè dentro l’auto - una lussuosa Thunderbird in sosta sul lungomare? Ma in queste pagine non si incontrano solo personaggi famosi. C’è molto di più. L’abnegazione dei medici condotti di una volta, i quali, oltre che con le malattie, dovevano combattere con la superstizione o, magari, si trovavano come “paziente” uno scimpanzé… Oppure (nota autobiografica) l'ostinazione del cittadino Leo che, con le gambe ben piantate nel cemento fresco, riesce a bloccare la costruzione abusiva di una strada alla Selva mentre l’elicottero dell’impresa gli volteggia sul capo. E poi il silenzioso eroismo di Sergio, che salva la vita a Leonardo e salda così il debito di riconoscenza con colui che, a suo tempo, l’aveva inaspettatamente risparmiato. L’incosciente assalto ai magazzini della Colonia Rivetti, quell’8 settembre del 1943. La misteriosa apparizione notturna nelle acque del golfo di un sommergibile “fantasma”. Tutte occasioni per narrare anche qualche spaccato dell’orribile periodo della guerra, comprensibilmente rimosso da chi l’ha purtroppo vissuto sulla sua pelle. Da questo diadema di piccole perle sincere, che Gabriello restituisce ai lettori con il cuore, zampillano immagini comuni, per tutti quelli della nostra generazione, dai carcerati del reclusorio in Santa Caterina, chiuso da molti anni ormai, e trasformato in centro di cultura, alla lancia a motore, presenza abituale davanti allo stabilimento Piaggio, da dove trainava al largo gli idrovolanti costruiti dentro l’immenso hangar, scrigno di chissà quali misteri per i bambini di allora che lo scrutavano incuriositi dall’esterno. Molti sono i fatterelli gustosi che Gabriello, con fiuto da cronista, riesce a farsi raccontare dai suoi interlocutori. Ad esempio quello, divertente per chi oggi legge, dell’incontro con una balena gigantesca di due pescatori, Manuelin e Rensito, intenti a preparare i tremagli sul loro gozzo al largo di Capo San Donato: “Una collina nera, a non più di venti metri da poppa”. E la “lezione” d’integrità morale che il ministro Carlo Donat Cattin impartisce (siamo ben prima di Tangentopoli…) all’imprenditore genovese che, riconoscente per un favore ricevuto in nome dei suoi operai, gli allungava una “bustarella”. Tanti tasselli di un mosaico che compongono un ritratto di vita cittadina.
Prefazione del giornalista e scrittore Stefano Delfino: “Ritorno a Finalborgo” segue e completa “Cunta”. Questo libro prende il nome da un nuovo significativo racconto in cui Gabriello Castellazzi è riuscito ancora una volta a sprigionare sulla pagina scritta l’amore viscerale per il suo paese, i suoi personaggi, le sue storie. Come Virgilio accompagnava Dante nell’itinerario della “Divina Commedia”, l’autore prende per mano il lettore e gli fa da guida in un percorso che si dipana attraverso i ricordi di tanti cittadini ai quali Gabriello ha saputo ridestare memorie remote e forse, in qualche caso, se non dimenticate, di certo rimosse. Dalle tante tessere, raccolte qua e là negli anni, spesso dalla viva voce degli stessi protagonisti o testimoni, nel volume si va componendo un mosaico di vicende, ora drammatiche, ora sorridenti, di figure caratteristiche, di eroismi grandi e piccoli, che costituiscono poi l’essenza di una comunità ormai scomparsa. Il libro, oltre che da nuovi racconti, è arricchito adesso anche dall’identità dei soggetti che quelle storie a Gabriello hanno narrato. Alcune di esse erano già state intuite da chi di questo territorio ha conoscenza diretta, altre invece sono una sorpresa. “Racconti veri” è il sottotitolo: e conoscerne i protagonisti è quasi una garanzia di autenticità, a conferma che non si tratta di un’opera di fantasia, ma piuttosto di una certosina, documentata raccolta di testimonianze autentiche. Chi certe situazioni ha avuto la fortuna di non viverle (l’allusione è agli episodi della guerra) sa quanto sia importante trasmettere alle nuove generazioni le attestazioni dirette dalla viva voce di quanti le hanno vissute sulla propria pelle e che (per evidenti ragioni anagrafiche) sono ormai sempre meno. È giusto, tanto più in momenti difficili come l’attuale, tramandarle ai giovani, affinché non sbiadiscano. E così in “Ritorno a Finalborgo” la dettagliata narrazione delle peripezie di Antonio sfuggito a Mauthausen (peripezie che ai ragazzi di adesso possono sembrare lontane, se non addirittura incredibili), ma non a mille altre disavventure belliche, offre qualche analogia con le peregrinazioni di Ulisse nel suo tormentato viaggio verso Itaca. Ma in questo libro, che sarebbe opportuno adottare nelle scuole come testo di lettura, ci sono anche riferimenti agli eventi culturali del Borgo e, tra le immagini gustose de “La stecca”, quella del frate domenicano che si allontana dal convento su di un carro traballante, brontolando contro la presunta ingratitudine dei concittadini. Questo fa venire in mente il francescano San Leonardo, l’ideatore della Via Crucis, il quale, nel lasciare Porto Maurizio, aveva scrollato energicamente i suoi sandali, affinché non vi restasse neppure un granello di polvere. Inoltre - per chi abbia voglia di esplorarlo attraverso queste pagine - si riscopre l'intero Finalese come miniera di storie e di gustosi aneddoti. Un microcosmo che sarebbe piaciuto a Guareschi o a Piero Chiara, con il suo intreccio di episodi, specchio di un’epoca ormai (irrimediabilmente?) passata e con un’ampiezza territoriale in grado di spaziare dal mare alle terragne vicende delle valli e delle colline dell’entroterra. Così ha fatto Gabriello che, intingendo proustianamente la penna nell’inchiostro dei ricordi come una sorta di Indiana Jones della memoria, si è avventurato nei meandri di quell’immenso patrimonio di storie mai raccontate o, in qualche caso, dimenticate, che sempre esiste in ogni piccola comunità. Alzi la mano chi sapeva, o ricordava, che uno scrittore celebre come Nabokov, l’autore di “Lolita” aveva soggiornato a Finalmarina come il Premio Nobel Alexander Fleming, lo scopritore della penicillina. E che Hemingway era stato visto passeggiare per Finalborgo. E chi sapeva che anche un regista famoso come Federico Fellini aveva fatto sosta qui e, magari soltanto per un attimo, aveva accarezzato l’idea di ambientare in Borgo un suo film. E non è forse una folgorante scenetta cinematografica l’incontro del giovane cameriere con il Principe, il grande Totò al quale aveva portato il caffè dentro l’auto - una lussuosa Thunderbird in sosta sul lungomare? Ma in queste pagine non si incontrano solo personaggi famosi. C’è molto di più. L’abnegazione dei medici condotti di una volta, i quali, oltre che con le malattie, dovevano combattere con la superstizione o, magari, si trovavano come “paziente” uno scimpanzé… Oppure (nota autobiografica) l'ostinazione del cittadino Leo che, con le gambe ben piantate nel cemento fresco, riesce a bloccare la costruzione abusiva di una strada alla Selva mentre l’elicottero dell’impresa gli volteggia sul capo. E poi il silenzioso eroismo di Sergio, che salva la vita a Leonardo e salda così il debito di riconoscenza con colui che, a suo tempo, l’aveva inaspettatamente risparmiato. L’incosciente assalto ai magazzini della Colonia Rivetti, quell’8 settembre del 1943. La misteriosa apparizione notturna nelle acque del golfo di un sommergibile “fantasma”. Tutte occasioni per narrare anche qualche spaccato dell’orribile periodo della guerra, comprensibilmente rimosso da chi l’ha purtroppo vissuto sulla sua pelle. Da questo diadema di piccole perle sincere, che Gabriello restituisce ai lettori con il cuore, zampillano immagini comuni, per tutti quelli della nostra generazione, dai carcerati del reclusorio in Santa Caterina, chiuso da molti anni ormai, e trasformato in centro di cultura, alla lancia a motore, presenza abituale davanti allo stabilimento Piaggio, da dove trainava al largo gli idrovolanti costruiti dentro l’immenso hangar, scrigno di chissà quali misteri per i bambini di allora che lo scrutavano incuriositi dall’esterno. Molti sono i fatterelli gustosi che Gabriello, con fiuto da cronista, riesce a farsi raccontare dai suoi interlocutori. Ad esempio quello, divertente per chi oggi legge, dell’incontro con una balena gigantesca di due pescatori, Manuelin e Rensito, intenti a preparare i tremagli sul loro gozzo al largo di Capo San Donato: “Una collina nera, a non più di venti metri da poppa”. E la “lezione” d’integrità morale che il ministro Carlo Donat Cattin impartisce (siamo ben prima di Tangentopoli…) all’imprenditore genovese che, riconoscente per un favore ricevuto in nome dei suoi operai, gli allungava una “bustarella”. Tanti tasselli di un mosaico che compongono un ritratto di vita cittadina.
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