
Il libro è una lunga lettera scritta da una mamma a suo figlio, per continuare a 'parlare' con lui anche dopo la sua fuga furtiva da questo mondo. Troppo brusco e violento il taglio fra le loro vite e quindi indispensabile continuare il dialogo che la univa a lui, figlio affettuoso ed amatissimo. Amore immenso che vince un dolore abissale.
Il dolore, qualunque dolore è già di per sé una brutta bestia.
Se è poi quello per la perdita di una persona cara, la bestia è decisamente feroce. Se poi è quello di una madre che ha perso il proprio figlio allora è strazio allo stato puro. E se, puta caso, questo figlio non se l’è portato via una qualunque disgrazia, ma è stato lui a decidere di chiudere i conti con la vita come ha fatto il figlio di Franca, allora non ci sono parole per esprimerlo, questo dolore.
E invece lei le ha sapute trovare, le parole. Pescandole – estraendole verrebbe da dire – dal più profondo di sé: in quell’assurdo buco nero di desolazione dove in pochi sono in grado di arrivare, e di resistere. E dal quale solo le grandi anime sono in grado di riemergere.
Eppure la grandezza di questo piccolo libro – e della sua autrice - non è neppure questa. Perché la storia del suo-nostro Paolo è anche e soprattutto un meraviglioso paradosso: la storia di un suicidio che l’Amore ha saputo trasformare in una, mille resurrezioni.
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